Ancora dall’inferno di Yüksekova
(26/03/2008)
Nonostante la grande mobilitazione popolare il clima rimane pesante. Tutti ci sembrano consapevoli e determinati a resistere, ma nello stesso tempo timorosi e guardinghi (e, naturalmente, attenti alla nostra sicurezza). Non hanno scelta e noi dobbiamo partire senza sapere come e in quanto tempo usciremo da questo inferno. Nella via del ritorno dobbiamo attraversarne un altro, quello di Van, dove non possiamo fermarci, e superare altri numerosi check-points, prima di Van e dopo, sulla via per Bingöl, che abbiamo scelto come tappa, per poi convergere su Diyarbakir. Ma abbiamo deciso di partire dopodomani: qui abbiamo ancora da fare.
Oggi siamo usciti alle nove, per visitare la famiglia del giovane ucciso. Le compagne della delegazione visitano le donne che si trovano nella casa dell’ucciso, strapiena di altre donne mentre, attorno alla casa, centinaia di altre ancora, vanno e vengono. La madre dell’ucciso intona un canto di dolore e di angoscia, straziante come “s’attittidu” della tradizione sarda.
Le altre non fanno che ripetere: basta, basta con la guerra, basta con i morti, basta di vedere morire i nostri figli. İ compagni della delegazione vanno a trovare gli uomini della famiglia nella piccola moschea del quartiere, che puo’ contenere un centinaio di persone. Una folla attende pazientemente all’esterno, chi non e’ ancora entrato aspetta il suo turno. Fuori dalla moschea i fratelli hanno esposto un quadro con l’immagine dei morti della famiglia a cui hanno aggiunto quella del ragazzo. Di fianco, una grande foto di Ocalan. Dentro, il padre e tre zii ricevono le condoglianze di una folla che si fa immensa. Dopo la visita andiamo al DTP, dove donne e uomini stanno di nuovo insieme. Li ci dicono che hanno chiuso l’inchiesta ufficiale sulla morte di İkbal Yaşar e sentenziato che e’ rimasto ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato da un altro kurdo durante gli scontri del 23. Nonostante le testimonianze contrarie che non sono state accolte o non considerate veritiere. Come sempre!
Nei quartieri interni non si nota un poliziotto perche’ i kurdi sono vigili e arrabbiati, ma il pericolo si sente. Alle 11.00 ci segnalano e raggiungiamo un corteo di studenti delle superiori con molti insegnanti. Sono migliaia, sfilano portando sul petto la foto dell’ucciso, gridano slogans di resistenza e di lotta. Al loro avanzare la gente applaude, le macchine si fermano e i clacson si incantano. Dai balconi, le donne affacciate gridano in turco: “Katil Erdoğan” (Erdoğan assassino). Al centro del corteo spunta una grande bandiera con i colori del kurdistan e con essa l’immagine di Abdullah Ocalan. Raggiunta la moschea, la grande bandiera del kurdistan e l’immagine di Ocalan conquistano il centro. Tutti si abbassano e stanno in silenzio per circa un minuto, con la mano destra alzata e l’indice e il medio aperti, nel segno della eterminazione a combattere. Poi un ovazione e ancora slogans. İl padre dell’ucciso a fianco degli oratori piange e saluta con il solito segno della resistenza kurda. Andando via incontriamo subito un altro corteo di studenti di altre scuole e piu’ tardi ne vedremo ancora qualche migliaio dirigersi verso quella moschea. Quante decine di migliaia di persone hanno protestato il 24, il 25 e oggi, al terzo giorno dall’uccisione di İkbal? Sarebbe meglio chiedersi quante centinaia di persone non hanno manifestato. Togliamo dal conto le migliaia di dipendenti statali, tutti turchi kemalisti, di militari, poliziotti, insegnanti turchi e kurdi assoldati.
Decine di migliaia di “terroristi” che hanno eletto il sindaco con circa il 71% dei voti, si oppogono ai terroristi veri e ai fascisiti del comando generale militare e del governo di Erdoğan.
Domani parteciperemo ad un incontro con le persone che hanno subito torture e di pomeriggio ad una riunione con i rappresentanti del DTP e di tutto il movimento democratico. Vi confermiamo il nostro numero di telefono: 00905344840237.
Per la delegazione di osservatori sardi a Yüksekova (cosi i turchi hanno ribattezzato la citta che i kurdi contınuano a chiamare Gever) Marta e Antonello
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