L’inferno di Hakkari e Yukşekova
(Scriviamo freneticamente, non abbiamo tempo per le correzioni, ne per le mail individuali.)
Date le notizie ricevute decidiamo di partire subito alla volta di Hakkari, Yukşekova e Van, saltiamo l’odissea dei posti di blocco e dei problemi che abbiamo dovuto sopportare nel loro attraversamento. Faremo poi un resoconto.
HAKKARİ:
E’ successo l’inferno: gli organizzatori della festa avevano da tempo chiesto l’autorizzazione per celebrare il Newroz il giorno 22, sono stati tenuti sulle spine, fino alla sera del 20, quando e’ stata comunicata l’autorizzazione non per il 22 ma per il 21, cioe’ per l’indomani, cioe’ dopo poche ore. Ma la propaganda era stata ovviamente fatta per il 22, i gruppi musicali, gli oratori, gli ospiti, erano stati tutti prenotati per il 22.
Forti del diritto naturale, che solo la prepotenza del regime nega, i Kurdi non fermano la loro macchina organizzativa e il 22 si accingono a riunirsi nel grande piazzale destinato a contenere le solite 70mila persone. İn Hakkari ci sono quasi centomila abitanti, allora i militari, che li attendono in ogni angolo di strada in tenuta antisommossa, li caricano, colpiscono con i manganelli ed eseguono i primi arresti. İn cambio ricevono sassi. Loro lanciano lacrimogeni e sparano.
Fortunatamente non ci sono morti, ma i feriti sono tanti che bisogna ricorrere ai piu’ capienti ospedali di Van a oltre 200km. Gli arrestati sono per il momento svariate decine, aumenteranno nei giorni a seguire. E cosi’ la citta’ protesta, i negozi si chiudono il 23, mentre i militari e i media ufficiali dicono che la serrata era per paura di vandali e terroristi.
No, Hakkari si e’ fermata, gelida e arrabbiata, per uno sciopero generale dalle normali attivita’ che ha raggiunto dimensioni massicce e per noi inimmaginabili. Noi siamo arrivati al nostro albergo alle tre, veniamo circondati e seguiti a vista dai poliziotti che penetrano in ogni stanza dell’Hotel: bar, ristorante, Hall, sala colazioni, dove noi passiamo, risparmiando solo le camere da letto e i bagni. Non abbiamo visto un solo negozio aperto.
Per il momento non usciamo dall’albergo perche’ abbiamo perso il nostro contatto, ma attraverso la nostra interprete cogliamo le notizie di una citta’ dove la gente, in particolare i giovani, si riuniscono dovunque a gruppi e protestano, vengono caricati per essere dispersi e rispondono con i sassi. Tutto un popolo, che il regime vorrebbe cancellare, resiste. Qui’ il sindaco Kurdo e’ stato eletto con il 70% dei voti, ma la televisione turca, sotto il controllo militare, continua a trasmettere immagini, alternate, dell’avanzare e degli assalti dei plotoni militari, che il cronista dice operare contro provocatori terroristi e di poche persone che applaudono da alcune finestre sventolando da un balcone, forse nemmeno del posto, bandiere dello Stato turco.
Andiamo via la mattina dopo alle 9.30, pensiamo di raggiungere Yüksekova con i soliti disturbi dei 4 check-point previsti. Nel primo check-point nemmeno ci fermano, ci sembra incredibile, ma nel secondo ...
Ci fermano alle 9.45. Sono stati avvertiti con una telefonata anonima che trasportiamo materiale di propaganda e una bandiera del PKK, oltre a documenti che ci collegano al terrorismo. Non ci fanno scendere ma ci portano dentro il recinto militare con tutto il minibus, stranamente non eseguono direttamente la perquisizione ma per farlo aspettano la polizia con il mandato che abbiamo richiesto. Che strano, pensiamo, altrove ci avevano detto che li la legge la facevano loro. İntanto passa il tempo. Non arriva nessuna polizia e nessun mandato. Dopo un ora e mezza ci dicono di essersi sbagliati, si scusano, ci rendono i passaporti e ci dicono di poter andare dopo aver firmato un verbale scritto in Turco. Ci rifiutiamo. Altra discussione in cui esprimiamo tutto il nostro disappunto e la nostra ferma indisponibilita’ a firmare qualsiasi cosa in una lingua a noi sconosciuta e con un’interprete militare non scelto da noi. E cosi’ facendo passano altri quindici minuti.
Andiamo via ma alle 11.39 ci fermano nel chek-point successivo, al bivio fra la strada che porta a Yüksekova con quella che consente di raggiungere l’İran. Un’altra denuncia anonima, uguale alla prima. Ora 3 militari salgono sul nostro mezzo, si siedono con le armi bene in mostra e dirottano il minibus fino al comando distante circa 300 metri. Qui ci esibiscono un foglio con poche righe scritte frettolosamente ma che non ci consegnano, avente valore, affermano, di mandato di perquisizione la quale inizia di li a breve. Non prima pero’, di aver chiamato delle militari stante che le donne della delegazione rifiutavano di essere perquisite da mani maschili. Controllano minuziosamente tutti i bagagli maschili, eseguono la perquisizione personale di tutti, particolarmente accurata per le donne, tralasciando pero’ il controllo di alcune valigie. Ci portano via due giornali kurdi, fra i tanti turchi che avevamo. Alla fine ci dicono che e’ tutto a posto ma passa un’altra mezzora fra scuse, te’, ma soprattutto richiesta (gentile) di attendere la compilazione del verbale. Altra richiesta di sottoscrivere una dichiarazione di cinque righe che sempre gentilmente, ma fermamente, ci rifiutiamo di firmare. Ci rendono i passaporti e ci restituiscono anche i giornali.
İn uno dei check-point un giovane soldato si avvicina e ci dice furtivamente che le segnalazioni anonime in realta’ venivano da un ordine del loro ufficio centrale.
Dopo pochi minuti passiamo indenni il quarto check-point e arriviamo a Yüksekova alle 13.30. abbiamo percorso poco piu’ di 70 chilometri in quattro ore.
Andiamo direttamente alla sede del comune dove un bel nugolo di persone con due ricetrasmittenti sosta dietro la vetrata dell’ingresso. Uno si avvicina e chiediamo del sindaco. Ci dice che possiamo aspettare. Ci avviciniamo timidamente, sospettiamo. Vedendo delle donne dall’aspetto rassicurante si avvicinano tutti e ci portano dentro. Uno di essi ha il distintivo del KESK, la confederazione sindacale vicina al DTP. Scopriamo poi che anch’essi temevano fossimo dei poliziotti.un funzionario del comune ci porta a mangiare e poi alla sede del DTP: Yüksekova e’ stata teatro di un’altra tragedia. İl 10 Marzo il comitato organizzatore del Newroz aveva presentato la richiesta di autorizzazione per il giorno 23. Fino al 20 sera non ottengono risposta e si ripete la farsa di Hakkari: possono festeggiare, se vogliono, il 21.
Percio’ rinunciano al Newroz ma il 23 indicono una conferenza stampa all’aperto, alla quale assistono 10.000 persone, per denunciare l’accaduto. Al termine tutti vengono invitati a rientrare nelle proprie case in silenzio, evitando gli slogan o altre manifestazioni che avrebbero potuto essere strumentalizzate come provocatorie da parte dei militari. Mentre i cittadini si ritiravano e’ partita comunque la scorribanda degli autoblindi e i lanci dei lacrimogeni. İn questa occasione un gruppo di militari che minacciavano le donne si sono abbassati i pantaloni per mostrare i loro organi genitali e proferivano... Solita risposta a sassate, altra reazione con lacrimogeni e colpi d’arma da fuoco sulla gente. Lo stesso Erdoğan avrebbe dato indicazione perche non venissero concesse autorizzazioni a riunioni di alcun genere per il giorno del 23. come ad Hakkari, ma qui c’e’ scappato il morto: İkbal Yaşar, 29 anni , sposato, 2 bambini di 3 e 5 anni, che svolgeva lavori saltuari, militante del DTP, e’solo l’ultima vittima della barbarie fascista dei militari e del governo di Erdoğan. İn ogni famiglia kurda c’e’ almeno un detenuto, molti conoscono la tortura, molti sono stati uccisi. İkbal ha raggiunto altri 13 parenti, 12 dei quali caduti nella loitta di resistenza e l’ultimo sequestrato da sconosciuti presso la sua abitazione, il cui corpo non e’ stato mai trovato. C’e’ stato un tentativo di soccorrere İkbal ferito, ma la polizia ha caricato e malmenato i soccorritori e lui e’ morto dissanguato. Dall’ospedale il corpo di İkbal e’ stato prelevato dai militari e sepellito frettolosamente, ma la famiglia e i suoi amici ne hanno ottenuto la riesumazione per poter effettuare dei funerali con gli onori del popolo.
Al nostro arrivi al DTP migliaia di persone per strada. Quando ci riconoscono come loro amici parte un boato di accorati slogan e applausi. Saliamo. La sede e’ strapiena, altra ovazione, applausi, slogans di rabbia e di resistenza, di dolore e di voglia repressa, di spaccare il mondo, quel mondo di cui sono figli minori. Arriva anche Osman Baydemir, il sindaco di Diyarbakir, e una deputata del DTP di Ankara. İl resto a domani. E’ troppo tardı ed e’ troppo pericoloso circolare a quest’ora.
La delegazione sarda in Kurdistan.
Tel. 00905344840237
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